Sostiene Aristotele
13 Jun 2007
Sostiene Aristotele (e per fortuna lo sostiene nella sesta pagina de: “La metafisica”, ché se l’avesse sostenuto, che so, a pagina quattrocentosettantadue, chissà se l’avrei mai saputo) che la ricerca della conoscenza, “deve in qualche modo portarci a uno stato contrario a quello nel quale si dà inizio alle ricerche”. Ci si meraviglia di qualcosa, se ne indagano le cause e, una volta che le si è scoperte, ciò che prima meravigliava appare come qualcosa di inevitabile. L’oggetto di studio, nel caso specifico, è l’Universo. Dopo anni di ragionamenti, di letture balzane e di teorie ancora più balzane, sono riuscito a formulare una visione delle cose (mi spiace, ma mi rifiuto di scrivere: Weltanschauung) che sembra funzionare piuttosto bene e che, soprattutto, è del tutto indipendente dall’esistenza di una o più Divinità. Perché io ci credo davvero che Dio è la compattificazione di Alexandroff dell’Universo, ovvero un elemento soprannaturale che si introduce nelle “spiegazioni” quando non si sa come rendere conto di qualcosa. Sfortunatamente però, rattoppare una cosmogonia zoppicante introducendo il concetto di Dio, porta inevitabilmente a dei paradossi, tipo:
Se Dio è buono, perché permette il male?
Che Dio è, uno che prima mi dice di non ammazzare e poi fa morire di fame o di sete o di stenti centinaia di bambini ogni giorno? Le cose sono due: o il male esiste perché Dio non può evitarlo (e allora perché diciamo che è onnipotente?); oppure il male esiste perché Dio non vuole evitarlo (e allora perché diciamo che è buono?). Ci sono risposte canoniche a queste domande, ma possono soddisfare giusto l’ascoltatore medio di Radio Maria, io cercavo qualcosa di meglio. Inoltre, la maggior parte delle religioni richiedono una certa dose di fede in qualche luogo (Paradiso) o condizione (Nirvana) soprannaturale e inconoscibile fino al momento successivo alla morte, e questo mi suonava un po’ di fregatura. Mi sono chiesto allora se sarebbe stato possibile dare una spiegazione dell’Universo senza introdurre elementi esterni a quelli che conosciamo. In altre parole, se era possibile creare una metafisica senza elementi metafisici. Era possibile.
Sostiene Aristotele (sempre nelle prime pagine, per fortuna) che le scienze più rigorose sono quelle che richiedono il numero minore di premesse. La cosa mi conforta, perché la mia ipotesi richiede solo tre premesse per funzionare a livello “base”, e quattro per una visione un po’ più appetibile delle cose. I tre dogmi principali della mia “religione” sono:
- le cose possono esistere
- l’Universo si espande
- se lasci andare un peso, ti finisce su un piede
Del quarto dogma parleremo dopo, per ora concentriamoci su questi tre:
Le cose possono esistere.
Questo è stato il dogma più facile da formulare, ma è fondamentale, perché se le cose non potessero esistere, tutto il resto non avrebbe senso.
L’Universo si espande.
Questo dogma, se non me l’avessero detto, non l’avrei mai potuto sapere, ma va bene lo stesso.
Allo stato attuale delle nostre conoscenze, tutto lascia supporre che l’Universo fosse, inizialmente, un’unica cosa che, per ragioni non ancora definite, è scoppiata disseminando i suoi pezzi in ogni dove.
I pezzi si sono raggrumati in stelle e pianeti, permettendoci quindi di formulare il..
Se lasci andare un peso, ti finisce su un piede.
Qui ho un po’ barato, buttandola in caciara, perché questo, dei tre dogmi, è quello meno comprovabile.
O meglio, a livello locale (che è appunto quello da me utilizzato nella formulazione), è innegabile il fatto che tutto ciò che ci circonda sia sottoposto alla forza di gravità (se lo lasci andare, il martello ti cade sul piede e anche la Terra, o prima o poi, “cadrà” sul Sole), mentre è solo possibile che le diverse parti dell’Universo potranno, o prima o poi, subire l’attrazione l’una dell’altra e ricompattarsi in un Uno.
Poe, in “Eureka”, dice un sacco di fregnacce, ma sostiene una teoria affascinante, ovvero che la forza di gravità non sia altro che la tendenza innata (e metafisica) degli atomi a ritornare all’Uno.
Io lo cito perché l’idea è molto elegante, ma, per quelli che sono i miei scopi, mi limito qui a dare per buona, anche in assenza di prove a suffragio, la tesi secondo cui l’Universo prima o poi collasserà nell’Uno Primigenio.
Riassumendo, se affermo che l’Universo esiste, inizialmente era Uno, adesso si sta espandendo, ma poi tornerà a essere Uno, credo che l’unica cosa che mi si può contestare è quel: “tornerà” in vece di: “potrebbe tornare”. Bene. Una volta che l’Universo sarà nuovamente collassato nell’Uno, i casi saranno due: resterà Uno per il resto del Tempo oppure esploderà di nuovo, dando vita a un nuovo Universo. La prima ipotesi è perfettamente lecita, ma è noiosa e contrasta con la tendenza generale delle cose ad avvenire per cicli (le stagioni, per esempio), quindi ce ne disinteresseremo, chiedendoci invece cosa potrebbe succedere se si verificasse un nuovo Big Bang. Anche qui, le ipotesi sono due. Una è: potrebbe essere che un Big Bang avvenga solo in determinate condizioni e che quelle condizioni portino necessariamente a un Universo identico a quello come noi lo conosciamo adesso; quindi, se l’Uno esploderà di nuovo, ricomincerà tutto da capo. La seconda ipotesi è che ogni Big Bang avviene in circostanze e con modalità specifiche e quindi, se l’Uno esploderà di nuovo, nascerà un nuovo Universo, che potrà avere pochi o nessun punto di contatto con quello corrente. La prima ipotesi è possibile, ma poco probabile, quindi diamo per scontato che sia la seconda, quella corretta; tanto non cambia niente, perché il tempo che noi abbiamo a disposizione per far esplodere e implodere l’Universo è infinito e per quanto bassa possa essere la probabilità che si verifichino due esplosioni uguali, in un lasso di tempo infinito è impossibile che la cosa prima o poi non avvenga. In base allo stesso principio, dato per scontato che - o prima o poi - questo Universo tornerà a manifestarsi, è lecito pensare, non per fede, ma in base a un banale calcolo probabilistico, che anche ciò che c’è in esso possa o prima o poi tornare a essere. Noi compresi. Magari non la prima volta che questo Universo si ripeterà, magari non la seconda, ma se la sequenza esplosione/collasso andrà avanti per sempre, è lecito pensare che in uno dei cicli futuri noi compariremo di nuovo su questa Terra. Anzi, estendendo retroattivamente gli stessi principi è altrettanto lecito pensare che questa non sia la prima volta che noi siamo qui a dire le nostre battute: per quello che ne possiamo sapere, questa potrebbe essere una commedia che ha avuto più repliche di Cats e di The Rocky Horror Picture Show messi insieme..
Ma chi siamo, “noi”? Mi piacerebbe pensare che esiste qualcosa di bizzarro come l’anima, ma come ho detto, questa è una cosmogonia che prescinde da elementi metafisici e quindi ne dovrò fare a meno. L’idea è che l’anima non esiste e che ciò che noi chiamiamo “anima” altro non sia che una particolare conformazione del circuito sinaptico del cervello. In altre parole, l’anima è il modo in cui i neuroni del nostro cervello sono collegati gli uni agli altri. D’altro canto, se non fosse così, se esistesse davvero un’anima che determina il nostro modo di comportarci, non si spiegherebbero gli effetti dell’elettroshock o della lobotomia.. Attenzione, però: dire che l’anima non esiste è pericoloso, perché (semplifico) se l’anima non c’è, allora non posso andare all’Inferno e se non rischio di andare all’Inferno, chi me lo fa fare di comportarmi bene, facendomi un culo così tutta la vita per due soldi? Se davvero l’anima non c’è, mi metto a spacciare droga o a peculare sulle commesse statali e faccio la bella vita. È questo che ha fatto la fortuna della Chiesa Cattolica: sostenendo l’esistenza dell’anima e propugnando un sistema che prevedeva una pena eterna per peccati risibili, ha prodotto duemila anni di pigoristica accettazione delle iniquità dei potenti ai danni dei deboli (ari-semplifico, i dettagli in: Chi++). Ma, se le cose stanno come penso io, il fatto che l’anima non esista non ci autorizza a fare il porco comodo nostro, anzi.. Se davvero siamo tutti degli epifenomeni, possiamo manifestarci ora qui ora lì, a seconda dei casi e se io oggi (in questo ciclo dell’Universo) mi manifesto all’interno di un evasore fiscale, un domani (in un altro ciclo di questa particolare specie di Universo) potrei manifestarmi in un ufficiale della Guardia di Finanza. Similmente, se io oggi (sempre nel senso di: in questo ciclo dell’Universo) mi metto a spacciare droga fregandomene delle persone che ammazzo e delle famiglie che rovino, domani (sempre nel senso..), potrei benissimo ritrovarmi in uno di quei drogati o di quei familiari e subirei le conseguenze delle mie stesse azioni. È quindi decisamente meglio che io mi comporti bene e che cerchi, per quanto mi è possibile, di convincere anche gli altri a comportarsi bene. Ora, il concetto di “bene”, a prescindere da una Divinità e da un corpo di regole predefinito non è che funzioni granché (come dimostra, senza volerlo, il libro Un’etica senza Dio di Lecaldano), ma nel nostro caso possiamo definire “bene” quel comportamento che non lede, almeno intenzionalmente, nessuno. È la differenza, drastica, che passa fra l’agire male e l’agire per il male. (Anche qui, devo semplificare, ma ho delle dimostrazioni per tutte queste affermazioni..) C’è una frase bellissima in un libro sulla vita dello spadaccino Myamoto Musashi:
Non bisogna interferire nel funzionamento dell’Universo, ma prima è necessario capire quale sia, il funzionamento dell’Universo
Che somiglia molto a una frase di Jacopone da Todi:
Prima devi sape’ perché stai ar monno. Quanno sai er perché, te devi impara’ a stacce
È (la prima frase) una forma estesa del Wu Wei taoista, ma come possiamo capire se stiamo interferendo nel funzionamento dell’Universo? È facile: se stiamo agendo in risposta a un’esigenza esterna alla nostra persona, è probabile che siamo sulla strada giusta; se stiamo agendo per soddisfare una nostra personalissima esigenza, è probabile che siamo sulla strada sbagliata. Un po’ la differenza che passa fra lo sparare a un alce per mangiarselo e sparargli per appendersi in casa la sua testa. Ciascuno di noi è perfettamente in grado di capire se si sta comportando bene oppure male: deve solo chiederselo e darsi una risposta sincera. Qualche volta non serve nemmeno chiederselo. Ed è qui che entra in gioco il quarto dogma.
Il quarto dogma si discosta dai tre dogmi principali perché è l’unico che richiede una certa dose di fede. Il quarto dogma si discosta anche dai dogmi ordinari, perché invece di imporre in maniera ricattatoria un’affermazione che sarebbe altrimenti piuttosto difficile da credere - Dio è uno e trino, la Madonna era vergine, il Papa è infallibile ecc. - prova a rendere coerenti (all’interno del sistema, ovviamente) dei fatti che non lo sono. Faccio degli esempi:
- “how does a duck knows what direction South is?”, come diceva la canzone dei Crash Test Dummies;
- perché, alle volte, agiamo come se sapessimo cosa sta per succedere?
- perché, il 24 dicembre del 2004 io, prima di uscire a ubriacarmi con mio fratello, per celebrare l’anniversario della morte del nostro cane, mi sono vestito da bravo ragazzo, con il cardigan e il loden?
In parole povere: cos’è quello che comunemente chiamiamo: “istinto” e che Jung, se non ho capito male (probabile) definisce: “inconscio collettivo”? Non ho una risposta certa a questa domanda, ma solo un’ipotesi: Post-it, promemoria che noi, nel corso delle nostre precedenti esistenze, abbiamo appiccicato da qualche parte, per ricordarci di fare o di non fare qualcosa. Una sorta di memoria persistente, esterna, o comunque non soggetta ai cicli di rinascita dell’Universo. Se l’Universo fosse un computer, potremmo pensare a tutto ciò che esiste come a un programma che “gira” in memoria e all’istinto (o all’immaginario collettivo) come a qualcosa scritto invece sul disco rigido. Ogni volta che il computer viene spento, la memoria si svuota e tutto quello che conteneva si perde, mentre ciò che è scritto sul disco rigido rimane lì, in attesa della prossima “accensione”. Insomma, il dogma numero quattro è:
Lo sai, perché ci sei già passato.
Non vale per qualunque evento della nostra esistenza, ovviamente, ma solo per quelli importanti: quelli che, nelle nostre precedenti esistenze, hanno prodotto effetti che ci interessa o ri-produrre o evitare. Non ho ancora capito come facciamo a scrivere questi promemoria, posto che esistano davvero; magari è sufficiente essere molto contenti o molto addolorati per qualcosa, ma so in che maniera possiamo leggerli: evitando di non leggerli. Evitando di ignorare i segnali che riceviamo, riconoscendo ed accettando la direzione in cui ci porta la corrente anche quando non è quella in cui vorremmo o preferiremmo andare. Non sto dicendo che sia facile. La mia teoria ha un corollario metafisico, ma non ce la farei mai a farlo entrare tutto in queste poche pagine. È il libro che sto scrivendo. Ne faccio un breve riassunto:
L’Universo è il Paradiso: siamo noi, che lo utilizziamo male, trasformandolo nell’Inferno.
Questa visione ha il pregio di funzionare anche solo con le quattro dimensioni che conosciamo ed è perfettamente compatibile con tutte le principali religioni, oltre che con Imagine di John Lennon.
Imagine there’s no heaven
It’s easy if you try No hell below us
Above us only sky
Il Paradiso e l’Inferno non sono altrove, sono solo due stati possibili dell’Universo e siamo noi, con le nostre azioni, a decidere in quale dei due vivere.
beta, log, testo